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Esperienze da Post-Office: da Roma a New York.

Al principio di questa estate, prima che il caldo luciferino avvolgesse la città eterna, ero a pranzo con mio cugino D. a casa di zia Bettina, in un paesino arroccato sulle montagne laziali che si allungano verso l’Abruzzo.

Mangiavamo pizzarelle al sugo, pasta casareccia accompagnata da un fresco bicchiere di vino bianco di produzione locale. La calura estiva che entrava dalle grandi finestre della sala da pranzo, ci avvolgeva dandoci quell’impressione d’immobilità temporale, e facendoci dimenticare, almeno per un frangente, cosa fossero orologi e telefoni cellulari.

Si parlava di “post-office”, uffici postali. Ero stata io ad iniziare il discorso, raccontando la mia avventura in quello romano della via Salaria.

“Cugino, che ti credi? Negli uffici postali newyorkesi non è mica come a Roma.”

Mio cugino si tratteneva dal ridere. “Suvvia, non essere ridicola. Un ufficio postale, è un ufficio postale. Le stesse lamentele ovunque, cambia solo la lingua in cui vengono dette. Qui in dialetto romano, lì non so, in qualche slang newyorkese suppongo…”

“Vedi cugino, non è così. Non puoi capirlo se non ne fai esperienza. Ecco, la verità è che a New York l’impiegato del post-office è di poche parole, nel caso qualcuno ha un reclamo o qualche cosa da ridire. What’s the problem? E poi, one-two-three, il problema è risolto senza intoppi e sono tutti contenti.”

“E non ci sono file negli uffici postali newyorkesi? Non ti credo.”

“Sì, certo cugino mio, che ci sono le file. Ma scorrono di più, non devi passarci mezza giornata. E soprattutto è più semplice, ce ne sono solo due: una per il ritiro pacchi e una per tutto il resto. Non c’è spazio per equivoci.”

Mio cugino mi ha versato ancora del vino bianco.

“Vedi cugino, negli uffici postali newyorkesi gli impiegati se ne stanno silenziosi, e per i fatti loro. Scambiano poche parole di carattere tecnico tra loro, solo se necessario e imprescindibile. A Roma no, mi sembra che per alcuni impiegati sia il momento del grande debutto!”

Mio cugino mi guardava perplesso.

“Che c’è di male se nell’ufficio postale romano gli impiegati si comportano come attori debuttanti? D’altronde è il loro momento per emergere dalla quotidianità.”

“Ma perché in un luogo pubblico, e non in un teatro ad esempio?”

“Cosa c’è di strano, cugina? Ora tu-vuò-fa-l’ameriggana ti sei dimenticata della nostra vivace romanità?

“Cugino, ma che significa? Che c’entra la romanità?”

Ho ripensato alla mia esperienza nell’ufficio postale di via Salaria. “La romanità…”

Cliente numero 1. “Scusi signore”, rivolgendosi all’impiegato. “Sono arrivato prima di tutti, ma il mio turno non è ancora arrivato. Come può vedere, sto facendo le radici, quanto devo aspettare ancora?”

Impiegato: “Signore, il sistema è così. Se ha meno di tre bollettini…”

Cliente: “Io ne ho quattro…”

Impiegato: “Ecco, se avesse avuto meno di tre bollettini poteva fare la fila express. Se invece ne ha di più, mi dispiace ma deve aspettare il suo turno…”

Cliente: “Ho capito, ma a quanto sembra qui sono tutti per la fila espressa o come le la chiama, mentre io per un bollettino in più devo restare qui il giorno intero?”

Impiegato: “Signore, questo è il sistema.”

Cliente: “Beh, scusi, non per fare polemiche, ma non capisco la logica di questo che lei chiama sistema. Non mi sembra corretto che per essere colpevole di avere un bollettino in più sono condannato ad aspettare che tutti sbrighino le loro cose prima di me.”

Impiegato: “Non siamo noi che decidiamo il sistema. Per favore, ora mi lasci lavorare.”

Cliente: “Beh, scusi, ma a questo punto onestamente me ne frego del sistema. Devo andare a lavorare e non posso aspettare in eterno il mio turno…”

Il sorriso dell’impiegato sembrava una smorfia, di chi con fatica cerca di trattenere una rabbia esplosiva.

Cliente: (borbottando) Io non capisco questo che chiamano “sistema”. Non è possibile che debba aspettare tutta questa gente pur essendo arrivato in questo dannato ufficio postale prima di tutti.

Impiegato: E CHE DIAMINE! VADA A VIA TALDEITALI A FARE IL RECLAMO, SE VUOLE. VADA A DIRLE CHE IL SISTEMA NON FUNZIONA. MA NON MI ROMPA LE PALLE, MI LASCI LAVORARE.

In tutto questo, io me ne stavo in fila, chiedendomi a mia volta perché il mio turno tardasse tanto e altre persone arrivate dopo di me mi passavano davanti.

Una volta arrivato il mio turno, l’impiegato sembrava avere voglia di ricomporsi, dopo essere eruttato come un vulcano irrompente contro il cliente lamentoso che mi aveva preceduto.

“Signorina vede, io lavoro qui da oltre vent’anni, e continuo a ripetere le stesse cose. E’ così frustante, sa. E’ tempo perso con certa gente. Il sistema è così, ok? Se si hanno meno di tre bollettini c’è una fila express, se se ne hanno più di tre, si fa la fila normale. Le sembra tanto illogico? Lei per esempio, vede, ne ha quattro e pazientemente si è messa in fila. Se tutti facessero lo stesso, si eviterebbero inutili perdite di tempo. Quanto tempo ho buttato via in tutti questi anni di lavoro a spiegare a vuoto le regole a certi imbecilli? E poi si dà la colpa alla burocrazia… La colpa è degli imbecilli che facendo lamentele su lamentele rallentano le operazioni dell’ufficio postale…”

Mio cugino, dopo aver ascoltato la mia storia, mi ha chiesto. “Secondo te, quel signore ci sarà andato poi a Via Taldetali a fare reclami?”

“Chissà…” Ci siamo versati un altro bicchiere di vino, mentre il cielo fuori dalla grande finestra era di un blu intenso. Mi sono venute alla mente le parole di quella canzone di Rino Gaetano: “Ma il cielo è sempre più blu.”

“Cugino, credo che alla fine ognuno resti con il proprio ruolo in questa vivace “romanità” di cui mi parlavi. Se l’attore debuttante riceverà critiche o applausi scroscianti, si vedrà.”

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