La nostra avventura nel West durante lo “shutdown” di Trump
Part 5.
“Nothing behind me, everything ahead of me, as is ever so on the road.”
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Il Colorado ci ha accolto di notte. Abbiamo viaggiato col buio, e le montagne si sono rivelate a noi nella loro maestosità solo di mattina, quando il sole ne fa risaltare il biancore. Ieri sera i fari della nostra automobile illuminavano solo alcune decine di metri davanti a noi, quella che era una strada dritta come un righello senza fine e lasciavano intravedere accumuli di neve ai bordi delle strade, come fossero montagnole di panna montata. I massicci, che a nostra insaputa ci accerchiavano, non facevano rumor alcuno nella notte mendace: il deserto attorno a noi era finito da un pezzo ma noi ne eravamo ignari.
Soggiorniamo al Retro Inn Motel, in una stanza con i mobili di tanti colori e piena di icone degli anni ‘60 e ‘70 che mi ricordano i tempi d’oro del rock’n’roll. Il Retro Inn è stato il nostro primo incontro con il Colorado, alle 10 di sera, quando esausti da un’estenuante guida, ci siamo rifugiati nella nostra abitazione transitoria. Il motel mi ricorda un’America che ho visto in tanti film e ascoltato in canzoni, un’America che ho rincorso in romanzi e viaggi, e che forse in realtà non è mai esistita, come quel suo sogno di libertà. L’insegna ricorrente della Route 66, le foto di macchine d’epoca appese alle pareti del Retro Inn Motel, come quelle di altri paesaggi, ancora una volta, sconfinati, e poi la scoperta, di mattina, di una statua di un giovane Elvis seduto su una panchina, che sembra invitare i passanti a sedersi accanto a lui: quell’America è qui, ma è inafferabile allo stesso tempo. I suoi simboli sembrano appartenere a un passato che non se ne vuole andare, ma che appare oggi fittizio, svuotato.
Mi piace la vibe del Colorado, il freddo pungente, la gente che ama conversare, i colori caldi dei ristoranti e del nostro motel, ma ancora non riesco ad associare le bellezze delle montagne a quei fucili venduti nei supermercati come prodotti d’uso quotidiano. Mi riferisco all’esperienza Walmart che ci aspetta in Colorado, a due passi dal nostro Retro Inn Motel che sa di libertà.
Tempo fa vidi dei video su YouTube che ne parlavano dell’esperienza Walmart. Sembra che in questo grande negozio che vende di tutto, da prodotti alimentari, vestiario, utensili della cucina, fino, appunto, alle armi da fuoco, si incontrino le persone più eccentriche del paese, soprattutto del “South.” Ovunque io mi trovi nel mondo, ho sempre difficoltà a collocare questo South, che sembra essere sempre più a sud di dove si è. Quanto a sud è il Colorado? In ogni modo, sembra che da Walmart si incontrino persone che passano di lì, semplicemente per comprarsi un fucile o una scatola gigante di cereali.
Entriamo alle 11 di sera. Pochi clienti, Walmart è popolato soprattutto dai dipendenti che indaffarati sistemano scaffali e banconi aggiungendo prodotti mancanti, trasportano pacchi e merci da un lato all’altro del grande negozio. Gli impiegati di Walmart sono come ombre che si muovono veloci tra le luci a neon del magazzino, in fuga delle gelide e troppo precoci notti invernali del Colorado. Il manto notturno arriva improvviso, come inchiostro nero che ricopre per intero ogni cosa, come se fosse un piccolo errore di disattenzione. I ristoranti alle 9 di sera sono già tutti chiusi. Ma no Walmart.
Alla cassa, la signora Dalia, una donna sulla sessantina il cui nome è impresso a grandi lettere maiuscole e nere sul cartellino della sua divisa, incuriosita dal nostro accento ci domanda la nostra provenienza. Durante la nostra conversazione di cinque minuti, la signora Dalia, occhi azzurrissimi contornati da una spessa linea di matita nera, nomina almeno tre volte il suo ex marito.
“Sei di Roma? Oh, il mio ex marito c’era andato, ed ha detto che è una città fantastica. Gli italiani hanno stile nel vestirsi. Non è vero?”
E poi, parlandoci della California. “Ah, vivete in California? Il mio ex marito vive a Los Angeles e trascorre almeno tre ore al giorno in macchina nel traffico.”
Poi, ancora raccontandoci altre cose, di cui ora non ho più memoria, la signora Dalia continua a menzionare l’ex marito. “Ah, anche il mio ex marito…”
Oltre la dolcezza della signora e il suo sorriso generoso, intravedo una contagiosa tristezza. Me lo suggeriscono i suoi occhi azzurrissimi circondati da quella linea ora troppo marcata di matita nera. “Il mio ex marito…” E’ un segnale evidente di come il passato la perseguiti. Parlando poi del Natale, ci confida di averlo trascorso da sola. “Mio figlio vive a tre ore da qui, ma non ci siamo visti. L’ho trascorso insieme ad amici…” Salutiamo la signora Dalia, che quasi sembra non ci voglia lasciare andare. Allontanandomi, mi sembra che si faccia sempre più piccola fino a quando Walmart non la inghiotte per intero.