La nostra avventura nel West durante lo “shutdown” di Trump
Part 3
“Nothing behind me, everything ahead of me, as is ever so on the road.”
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Nel territorio Navajo ci fermiamo a fare benzina e ne approfitto per cercare del caffè nel limitrofo supermercato. E’ il primo che incontriamo dopo ore ed ore di viaggio. Ho bisogno di caffeina per tirare avanti con la guida.
Un large coffee che mi tenga gli occhi aperti sulla strada e che mi riscaldi dalla brezza invernale; un caffè che mi accarezzi il cuore spossato da una sorta di malinconia che mi ha preso da quando ci siamo lasciati la città alle spalle e abbiamo varcato la dimensione degli spazi eccessivi dei deserti dello Utah.
Entrata nel supermercato, mi accorgo di essere l’unica persona non di etnia navajo. Ci sono famiglie, donne e qualche uomo. Un gruppetto di uomini di mezza età sosta all’esterno e proprio uno di loro poco fa mi aveva avvertito che stavo entrando dalla porta sbagliata, che infatti non si era aperta al mio avvicinarmi. “Miss, enter is there.” L’uomo mi ha indicato la direzione. Un po’ imbarazzata per la mia svista, ho accennato con il viso un “grazie.” Compro il mio caffè e ritorno in macchina, dove io e Mario ci guardiamo, restando in silenzio per qualche secondo.
“Per un attimo lì dentro ho pensato di trovarmi in un mercato messicano… in Chiapas o magari Uptown Manhattan…” Lui mi ascolta con lo sguardo distratto dai propri pensieri, come se sapesse già quello che cerco di dirgli.
“A me quegli uomini fuori al supermercato hanno ricordato los jornaleros.” Mi risponde poco dopo. Vestono con jeans e abiti apparentemente da lavoro, e il modo in cui se ne restano all’impiedi e in gruppetti a parlare tra loro, gli dà un’aria di chi è in attesa, ma un’attesa calma, quasi eterna… tanto quanto quei giovani che vedevamo ogni giorno andando a lavoro lungo Hearst Avenue, a Berkeley.
Spesso di origine latina, i lavoratori giornalieri se ne stanno in piedi lungo i marciapiedi, qualcuno seduto su un muretto o sui gradini della chiesetta di Hearst Avenue, e si concentrano soprattutto nella zona vicino la grande strada San Pablo. Sembra che stiano lì da sempre, arrivano puntualmente prima di me che in bicicletta attraverso di corsa Hearst Avenue verso le 9 di mattina, senza mai fermarmi, ma gettando loro uno sguardo discreto e veloce, ogni volta. Vorrei quasi salutarli. “Buenos dias” or “Good morning,” ma poi penso che io per loro sono solo una delle tante sconosciute che tagliano Hearst Avenue in fretta e furia, per arrivare in tempo chissà a quale lavoro ben retribuito nella costosissima Bay Area. Invece, per me non sono degli sconosciuti. Mi sono abituata alla loro presenza, quasi confortante. Ma sono consapevole che sono solo io ad aver familiarizzato con i loro visi, i loro gesti, le battute in spagnolo latino che si scambiano, qualche risata fragorosa. Io sono più o meno invisibile per loro.
C’è un signore che indossa degli occhiali rotondi e che tiene in mano a volte una rivista o un giornale, oppure ha lo sguardo concentrato sullo schermo del suo cellulare. Chissà cosa sta leggendo, mi chiedo ogni volta. Ho come l’impressione che nel suo paese sia stato un maestro di scuola, o qualcuno abituato a lavorare con i giovani, magari un allenatore di calcio. Si distingue dagli altri jornaleros per quell’aria da intellettuale, o forse gli altri sono troppo giovani rispetto a lui, che potrebbero essere quasi i suoi studenti. Ogni tanto qualcuno che passa come me lungo Hearst Avenue, si ferma e contratta un jornalero per qualche ora di lavoro, per la maggior parte da bracciante o muratore. Ma solo per un giorno. All’indomani, i lavoratori giornalieri, sono di nuovo lì. Anche il mio maestro di scuola, concentrato come sempre nelle sue letture solitarie.