Il corsaro di Manhattan – I parte
Mi chiamo Roberto e faccio il “deliverero,” ossia mi occupo di deliveries, le consegne di cibo nelle case. Conosco midtown Manhattan come le mie proprie tasche. Soprattutto quel crocicchio di strade che va dalla 34th alla 50th street e si estende dalla dalla 5th avenue al fiume Hudson. Ecco, quello è il mio territorio. Conosco tutti i segreti di questa zona, i ristoranti, gli uffici, i clienti abitudinari che ordinano sempre la stessa pietanza, nello stesso giorno della settimana, alla stessa ora.
So tutte le scorciatoie, le buche da evitare, le piccole salite e discese. Non temo nessuno, neppure i taxi gialli che mi sfrecciano affianco senza mai curarsi di me. Loro si credono i padroni delle strade, ma non sanno che io, invece, sono quello che l’ha sempre vinta. Quando loro stanno ore bloccati nel traffico nella rush hour, invece io so sempre come trovare la via di fuga.
Sono messicano, mexicano hasta la madre, come avrete capito. Sono nato in un paese di un centinaio di abitanti nelle campagne di Puebla, ma sono cresciuto qui nella Grande Mela. Mia madre mi ci ha portato quando ero un bambino, non che l’avessi scelto io. Non sapevo niente del mondo al di fuori del mio “rancho”. Nel mio paese eravamo tutti poveri. Eravamo tutti poveri se mi guardo indietro ora, dopo 14 anni che ho trascorso in questa isola al centro del mondo. Ma io, a pensarci bene, non mi sentivo povero. Ero, anzi, il bambino più ricco del mondo. Mi bastava giocare nel mio giardino di casa con i miei cugini, correre negli spazi immensi delle campagne messicane.
Ora sono diventato il pirata di Manhattan e non ho paura di niente. Sono il vero conoscitore della città. Osservo tutto. Quando vedo i turisti di Times Square con la bocca spalancata di fronte alle luci della piazza o in fila per i teatri, mi viene da ridere per la loro ingenuità. Non sanno cosa ci sia dietro quelle luci. Io conosco gli uffici di Hell’s Kitchen, dove i ricconi non mi lasciano neppure un dollaro di mancia.
Io so pedalare durante tutte le stagioni, con la pioggia, con la neve e soprattutto col sole. Sono il re delle strade in primavera, quando sfreccio tra le macchine, mentre il primo sole mi accarezza la pelle. Sono i momenti in cui amo di più la mia città e il mio lavoro. La brezza fresca, il riflsso della luce solare sul fiume, le gonne delle ragazze, e quel senso di libertà che mi fa spingere ancora di più sui pedali.
Conosco tutti gli altri “delivereri” che lavorano con me, sia quelli “documented” che quelli che non lo sono. Molti di loro non ce la fanno a reggere il ritmo. Alcuni sono caduti dalla bicicletta, alcuni sono stati rialzati dall’ambulanza. Altri hanno rinunciato perché troppo faticoso. Ma a me non mi ferma nessuno. Vado dalla 34th alla 50th in meno di dieci minuti.
Carico tre ordini in una sola volta. Sono giovane e questo lavoro mi mantiene i muscoli allenati.
Nonostante la mia divisa flourescente, sono invisibile ai più. Sono solo uno dei tanti “deliveri” messicani. Uno come mille altri. E poi ci dicono che noi messicani ci assomigliano un po’ tutti: bassini, con il naso grande e schiacciato, scuri e robusti, massicci. Lo siamo sempre anche se lavoriamo come dannati.
Io, il mio lavoro di “deliverero” non lo cambierei con nessun altro al mondo. Io sono il vero pirata di Manhattan, che s’indaffara dietro le luci di Times Square. Vado veloce come il vento e tu non mi vedi, ma io sì, perché posso essere ovunque in ogni istante.
Sono sempre sveglio. Su questo, ne vale la mia sopravvivenza.