Crossing. Part III – The White Girl
Tra noi “delivery guys”, i ragazzi delle consegne di Hell’s Kitchen, non si è parlato d’altro per l’intera settimana. L’argomento era sulla bocca di tutti: la mia bicicletta ri-rubata, ossia la bicicletta che è stata rubata due volte. Non sa di storia incredibile? Ebbene sì, è successa proprio al sottoscritto: Roberto, il corsaro di Manhattan.
Venerdì scorso, un giorno come un altro, verso l’ora di pranzo: richiesta per una consegna di una pizza nei pressi di Korea Town, 30th street e 6th avenue. Korea Town è il quartiere coreano. Raramente si sente parlare in inglese all’interno dei suoi ristorantini, caffetterie e supermercati. Una zona trafficatissima e caotica, sia di giorno che di notte.
Arrivato a Korea Town, individuo il mio edificio e parcheggio la bicicletta proprio di fronte all’entrata, incatenandola ad un palo di un cartello stradale. Non passano più di tre minuti, dal momento in cui entro nel palazzo, salgo al settimo piano, consegno la pizza al cliente – coreano, e riscendo con un ascensore lampo. Faccio per cercare le chiavi nella mia tasca, quando, guardandomi intorno non trovo la mia bicicletta. “Non è possibile, non è possibile!” Resto incredulo per qualche minuto. “Come si può rubare una bicicletta ad un delivery guy?” Questo è un vero affronto, è una provocazione senza precedenti.
La mia catena a terra, mozzata in due come fosse un foglio di carta, mi obbliga a guardare in faccia la realtà: il Re delle due Ruote, Roberto, “Delivery 317” è caduto vittima di un furto ad opera di un ladro di biciclette newyorkese. Un ladro che, avendo tagliato la mia catena con una pinza non certo improvvisata, si fa passare per professionista, per un vero esperto.
Non starò qui a riferirvi gli insulti che sono usciti dalla mia bocca in quel momento. Noi messicani diventiamo molto, MOLTO volgari se colpiti a tradimento. Siamo gente pacifica, amicona. Ma di fronte a sfrontataggini del genere, tiriamo fuori il peggio di noi. E chi prendiamo di mira? Le madri dei nostri nemici. Perché, così facendo, ne siamo consapevoli, colpiamo l’avversario dritto nell’orgoglio e nel sentimento più vulnerabile. Le mamme in Messico sono sacre, intoccabili. Centinaia di “Hijo de p…” e “C…ga a su madre!” sono iniziati a piovere sulla testa del malcapitato ladro, a cui saranno fischiate le orecchie per ore come segno di qualcuno che lo stava pensando intensamente.
Non mi resta che chiamare la base e riferire loro l’incidente appena accaduto.
“Come è potuto succedere? Non c’era il lucchetto?”
“Sì, il lucchetto è tutto ciò che è rimasto. La mia bicicletta è scomparsa in meno di tre minuti,” rispondo io, cercando di nascondere la sete crescente di vendetta.
Nel tentativo di buttar giù il boccone amaro, cammino fino alla nostra base, localizzata sulla 50th street con la 11th avenue, ossia venti blocchi verso nord e cinque avenues verso ovest. Non ci penso nemmeno a spendere 2.75 dollari per una corsa in metro, e poi ho il sangue che ribolle da raffreddare.
Il resto della settimana è trascorso piuttosto normalmente, ed anzi stavo a poco a poco dimenticandomi del furto di Korea Town. Tuttavia, qualcosa di inverosimile è successo che ha improvvisamente riacceso in me la speranza… e la sete di rivalsa.
La mia bici era lì. L’ho riconosciuta subito. Non c’erano dubbi. Legata con una catena all’uscita della metro di Columbus Circle, sulla 59th street. Non ho avuto dubbi che fosse proprio lei. Nera lucente, con una screpolatura della vernice nei pressi del freno sinistro. Ho riconosciuto anche l’adesivo dei Metz mezzo scollato posizionato al centro del manubrio. Me lo regalò tempo fa un cliente, un tifoso sfegatato della seconda squadra di baseball di New York City.
Voglio chiarificare subito che a me di baseball non interessa un fico secco, ma i Metz mi stanno simpatici. I Metz sono la squadra che perde quasi sempre, ma che ci mette tutto il sudore e la passione del mondo per sognare la vittoria. Eppure gli Yankees non danno speranza ai Metz, avendo vinto 27 o 28 volte i campionati, a differenza degli altri, le cui vittorie non si contano neppure sul palmo della mano. Il baseball lo trovo uno sport noioso, della durata di interminabili quattro ore, durante le quali io preferirei piuttosto dormire non capendo nulla delle regole del gioco. Io amo gli sport d’azione e movimento. Ad essere sinceri, la bicicletta è il mio sport preferito, l’unico che farei mai in vita mia. E sono così fortunato da poterlo praticare come sport ed anche come lavoro. Provo una compassione infinita per coloro che debbono trascorrere tutto il tempo di fronte a uno schermo luminoso del computer. Io, invece, incontro la gente di New York, per le strade, negli uffici e nelle loro case. Non mi annoio mai. Non ho tempo per annoiarmi. Non ce la farei mai a starmene al chiuso, tra quattro mura, otto ore al giorno. Io mi alimento della luce del sole, ma anche della neve e della pioggia. Non che ami pedalare con le bufere, ma preferisco l’avventura alla routine.
Tornando alla bicicletta, non vi era dubbio alcuno. Era la mia. L’emozione che provai è indescribile: come rivedere un vecchio amico di cui si erano perse le tracce. “Devo riprendermela, costi quel che costi!” Ho deciso subito di ri-rubarla al ladro. Certo non era facile riuscire nell’intento in un luogo pubblico così trafficato come Columbus Circle. Gente che usciva e entrava dalla metro, alcuni che passeggivano soffermandosi di fronte alle limitrofe vetrine, altri invece portavano a passeggio cani e bambini in carrozzina.
“Come scassinare il lucchetto in questo tran-tran di gente? Ci vuole una strategia.” La mia strategia consisteva in: continuare a lavorare normalmente, ed aspettare una chiamata per una consegna nei pressi di Columbus Circle. Dopo di che, avrei tirato fuori le mie doti di attore.
Dopo aver atteso per un paio di ore, è arrivata finalmente una richiesta per una consegna di due pizze e due coca-cola in un edificio tra la 59th street e 8th avenue, non lontano da dove la mia bicicletta stava parcheggiata. “Il mio piano può finalmente entrare in azione: vado a piedi fino alla pizzeria dove prelevo le pizze e poi, sempre camminando, le porto fino a destinazione.” Dopo aver consegnato il cibo al cliente, ho raggiunto la mia lucente bicicletta nera, che immobile laddove l’avevo vista qualche ora prima, sembrava aspettare fiduciosa il mio ritorno.
Nell’avvicinarmi a lei, fingo di cercare le chiavi per aprire il lucchetto. Nel caso qualcuno mi stesse guardando con sospetto, continuo a frugare nelle mie tasche lasciando trapelare un certa frustazione. “The keys! Where the f..k are my keys?” parlo tra me e me, ma ad alta voce. Ed ecco che è arrivato il momento di tirare fuori il mio strumento di lavoro: un fil di ferro con cui potrei aprire anche il portone della Casa Bianca se volessi. Io sono un esperto ad aprire serrature, ma non sono un ladro. Non ho mai rubato niente a nessuno che non mi sia stato dovuto. E poi, in questo specifico caso, sto semplicemente riappropriandomi di qualche cosa che mi fu tolta ingiustamente. A proteggermi poi, c’è la mia uniforme. “Delivery 013.” Non si è mai visto un ragazzo delle consegne rubare una bicicletta, o no?
“Uno, due, tre… fatto!” La missione è riuscita, il lucchetto si è aperto con una disinvoltura disarmante, e in un battibaleno mi ritrovo in sella alla mia bicicletta ri-rubata. Il lucchetto è intatto, e non vi è alcun indizio di crimine commesso sul posto.
“Mi sei mancata, compagna di avventure!” le sussurro accelerando sui pedali, mentre il vento mi accarezza il volto.
“Da oggi in poi, i ladri di bicicletta newyorkesi ci penseranno due volte a sfidare il corsaro di Manhattan!”