Il corsaro di Manhattan – parte II
Oggi sono andato a fare una consegna al 54esimo piano di un edificio di Midtown west, conosciuta dai più come “Hell’s Kitchen”, la cucina dell’Inferno.
Credo che non ci sia nome più appropriato per un posto del genere. Innanzitto, il traffico. I taxi gialli, questi miei nemici giurati, corrono come pazzi assassini, si credono i padroni delle strade, come se pedoni, macchine e biciclette non esistessero affatto.
L’ingorgo peggiore si forma sempre all’altezza del Lincoln Tunner, tra 40th street e 12th avenue. E’ lì che i New Jersers passano ogni giorno per venire a lavorare nell’isola e poi se ne ritornano a fine turno al di là del fiume Hudson.
Oltre il traffico, il rumore. Dio mio, che baccano in questa cucina dell’Inferno. Hell’s Kitchen è un cantiere a cielo aperto. Sembra impossibile che in questa foresta di ferro che è Manhattan ci sia ancora spazio per costruire dei palazzi, non è vero? Sbagliatissimo. Anche con pochi metri quadrati a disposizione ho visto tirar su grattacieli di oltre cinquanta piani in pochi mesi. I grattacieli qui a Hell’s Kitchen sbucano come funghi.
MEN AT WORK. Strade chiuse, ruspe in azione, via vai di uomini dal berretto giallo che si trasformano d’improvviso in spidermen ordinari arrampicati sugli edifici dei palazzi. Questa routine è un formicolio continuo, che dura notte, giorno, mattina, sera, da lunedì a domenica.
Hell’s Kitchen è un posto infernale, ma è la mia base, il mio territorio. Conosco questo quartiere come le mie proprie tasche, ma allo stesso tempo mi sorprendo di quante novità vi ritrovo ogni volta che vi torno. Mi sono abituato alle sue metamorfosi.
Oggi, durante questa mia consegna di cibo al 54esimo piano di un edificio, la mia cucina dell’Inferno mi ha regalato una sorpresa. Entro nell’edificio e saluto il portiere. Lui, come tutti i portieri di Hell’s Kitchen, sa il motivo della mia visita senza che io dica nulla. Ci pensa la mia uniforme gialla flourescente, incontestabile pass-partout per entrare in ognuno di questi condomini di lusso. “Delivery 013.” I portieri sanno che io sono il “corsaro delle consegne,” quello che naviga le strade di Manhattan senza paura e con destrezza sulle sue due ruote fiammati.
Mi scattano una foto-adesivo che stampano e che io posiziono sulla mia uniforme. Sono pronto. Il portiere mi fa cenno di andare e mi avvicino alle porte automatiche dell’ascensore, che una volta entrato, si chiudono alle mie spalle.
2,3, 4… 10, 11, 12…32,33,34.. 44,45,46…53! Le porte si aprono su una vetrata di un lungo corridoio. La vista dell’Hudson e del New Jersey mi toglie il respiro per un secondo. Potrei stare su un aereo, star volando senza neppure accorgemene. Tutto sembra così piccolo e il cielo così vasto, così sconfinato. Sono sempre alle prese con le buche dell’asfalto, i malefici taxi gialli, i pedoni distratti e i semafori rossi e verdi. Invece, questa vista mi ricorda che Hell’s Kitchen non è solo il mio quartiere infernale. Ha la sua magia, ma solo per chi, come me, può permettersi di salire in alto, nei punti più lontani dal rumore del traffico.
I numeri degli appartamenti sono stampati in caratteri dorati sulle porte. 513, 514. Io devo andare al 520, l’ultimo appartamento alla fine del corridoio.
Inizio a camminare, passi lenti, misurati. Guardo verso il basso e le vertigini mi causano un brivido lungo la schiena. La mia porta è alla fine del corridoio, appena dopo l’incanto. Rallento i miei passi, ne rubo un po’.