Il Corsaro di Manhattan – Part IV. Nemmeno un “grazie” per i soldati delle consegne.
E’ un po’ che non racconto le mie avventure. Sono stato “busy”. Busy come tutti i newyorkesi, affaccendato a rincorrere i miei impegni. Non mi sono fermato mai. Fino ad ora. Questa birra ghiacchiata che mi allevia la stanchezza è più che meritata. Salud!
Ho lavorato duro, dodici ore al giorno. Per quanto tempo? Non posso dirlo, ho perso il conto. L’azienda aveva bisogno di personale ed io di soldi: felice incontro di differenti esigenze di sopravvivenza. D’altronde quasi tutti i newyorkesi hanno due o tre lavori, mica puoi startene in città senza lavorare. Questo lo fanno i turisti, quelli che si credono che New York sia racchiusa nelle luci di Times Square.
Mi fa tenerezza questa gente che arriva nella Grande Mela da tutti gli angoli del mondo. Li vedo ogni giorno, se ne stanno ore ed ore in fila per salirsene sull’Empire, entrano ed escono dai magazzini di Macy’s in una corsa sfrenata agli acquisti. Il sogno di New York è un bene vendibile. Chi ne è capace può fare una fortuna. Io non sono un commerciante né di sogni né di nessun’altra illusione. Sono un corsaro, un avventuriero in bicicletta il cui compito principale è recapitare del cibo ai business men di Hell’s Kitchen.
Io ho un bel po’ di spese mensili da coprire, e la riuscita dell’intento è affidata tutte alle mie gambe piccole ma muscolose, che sanno spingere sul pedale come poche altre in tutta l’isola. Ad esse sono affidati l’affitto, il canone del telefono, la bolletta dell’elettricità… e qualche stravizio. Eh, sì. Mi piace bere. Mi piace parecchio. Me gusta tomar. Fiumi di birra. Nessuno è perfetto, al bando chi giudica. Ce ne vuole di benzina per pedalare con vigore per intere giornate su e giù per la giungla newyorkese, e la birra è il mio carburante.
Non bevo mica quando lavoro. Lo faccio quando sono di riposo e la sera, per rilassarmi. Datemi un six pack di Modelo, un joystick per svagarmi con i miei videogiochi favoriti e mi fate uomo felice. Marta, la mia ragazza, ha finalmente rinunciato a farmi cambiare vizio. “Non è mica lecito che sia io a decidere come godermi il meritato riposo?”
Dove lavoro i responsabili ci fanno credere che siamo importanti, che siamo, come dicono loro, “lo zoccolo duro” o “il futuro” o “i responsabili del successo” dell’azienda. Minchiate! Ci adulano perché ci vogliono motivati ed efficienti: una sorta di esercito delle consegne.
La nostra “alta” missione, come delivery guys, è quella di sfamare i business men di Hell’s Kitchen, che non hanno neppure il tempo di prepararsi un sandwich prima di uscire di casa la mattina. Siamo così “importanti”, che, immaginate, proprio ieri, quando Miguel, il mio migliore compagno di lavoro, ha dato le dimissioni, John il responsabile del personale non ha sprecato neppure un “grazie per il tuo lavoro”, ma anzi si è limitato a un (con messaggio di testo): “Oggi è il tuo ultimo giorno di lavoro. Passa a prendere il tuo assegno. Best, John”.
“Miguel non prendertela.” Gli ho detto, ma dentro di me lo stomaco bruciava. Neppure un maledetto “grazie” per aver pedalato durante le ore più torride dell’estate, per esserci bruciati al sole, per aver sudato come dentro una sauna senza aver mai deciso di andare in una Spa, grazie per i geloni alle mani, per il freddo invernale che qui a New York taglia il volto anche con passamontagne e sciarpe di lana. Grazie, grazie, un maledetto grazie Miguel se lo meritava. Due anni a consegnare cibo su e già per questa “cucina dell’Inferno”, per aver schivato mille volte per un pelo i fanatici taxi gialli che tagliano la strada, grazie per aver portato a termine ogni consegna, a tempo nella maggior parte dei casi, per averlo fatto ogni qual volta io, John, il responsabile di tutti voi delivery guys, me ne stavo dietro una scrivania a darvi ordini e indicazioni, sorseggiando un frappuccino o mocacchino di Starbucks o qualche altra michiata di bevanda che mi farà un giorno crepare il cuore di diabete.
E dove sono le belle parole, le adulazioni, le congratulazioni per la nostra professionalità? Miguel lo avete lasciato andar via senza neppure un grazie. Già immagino ci sarà un altro Miguel pronto a prendere il suo posto. Volevo solo dirti John, e cari “responsabili” del personale, che non sono un fesso. Che conosco la città molto meglio di voi, i suoi angoli più reconditi, conosco il “dietro le scene” delle vetrine scintillanti di Midtown, degli uffici, degli hotel, ristoranti, dei cantieri e delle conversazioni dei loro operai, conosco il vero significato delle vostre parole. Lo scoprirete presto, io sono il Corsaro di Manhattan, con voi o senza di voi.